Ci sono pesci
Ci sono pesci tra le Nuvole.
Che sanno volare. Elevati fino al cielo e liberi dalla scontata dipendenza dall’acqua. Sopra ogni limite fisico e mentale. Altro. Fuori.
E pesci sulla Terra. O meglio nell’acqua della Terra.
Certo non sanno volare, ma nuotano in un mare apparentemente sconfinato di scelte, possibilità e soluzioni. Potenzialmente circolare e infinito. Forse scontato. Ma avanti e indietro, in su e in giù, controcorrente perfino. Alcuni. Almeno.
Poi ci sono quelli pescati, catturati per sempre, occhi vitrei nei banconi di un mercato e poi fritti in padella. Discorso chiuso. Definitivo. Morti e nutrimenti. Almeno.
E ancora, ci sono quelli che conoscono solo l’universo della loro vaschetta di vetro nel salone della casa di un bambino capriccioso. Vinti al lunapark. Abbatti sagome e vinci una vita. In vetrina. Non conoscono alternative. Non l’hanno scelto. Almeno.
Ma quelli sconvolgenti, quelli per cui non c’è nemmeno un “almeno”, eccoli: muoversi cauti nell’acqua sotto la grata in una fontana. Imprigionati da sbarre, prigione della loro prigione.
Sotto.
Intanto l’acqua si può imprigionare? Si può contenere, certamente. Dentro confini di un mare, una diga, una fontana, una vasca, una bacinella, un barattolo. Ma una grata che senso ha in acqua? Fluida attraversa le sbarre. Si apre e si divide e passa. Impassibile. Penetra in ogni vuoto, liquida e libera. Inutili e ridicole sbarre. Fuori luogo – dentro acqua. Paradosso.
Allora sarà lì per i pesci. La grata. Vien da pensare.
E invece no, non è possibile neppure questo: non è a filo, ma immersa nella fontana e sopra c’è ancora acqua e ha trame così larghe da consentire loro di passarvi attraverso e nuotare in superficie, oltre. E invece restano. Sotto.
Non la vedono, la grata? O è la superficie che non contemplano? Persi in un mondo sotterraneo, lontano dalla verità delle cose, inabissati, ciechi nell’angolo più buio della loro vasca – mondo.
Non guardano neppure in su. A parte dalla conoscenza. Non lo sanno neppure di non saper volare. Che si può volare.
Oppure la vedono benissimo la grata che li condanna all’abisso. Ma pensano di non passarci. Non ci provano neppure. La vedono invadere tutto lo spazio, enorme e inaffrontabile mostro. O forse credono che oltre non vi sia acqua a sufficienza per accogliere il corpo che non tollera ostacoli. Poggiati sul ferro, senza un fluido a sostenerli, si ferirebbero. L’aria li soffocherebbe. Ne sono convinti, di non saper volare.
O peggio: stanno benissimo nella loro gabbia. Nessun rischio. La prigione se la impongono. Per ripararsi da sofferenze, sconfitte, probabilità. La grata è scusa. Pretesto per restare giù, protetti, perché fuori fa paura. Superare fa paura. Il limite non è fisico, ma mentale. Una gabbia finta, ben montata nella mente da lacci indissolubili. Gabbia dorata che si costruiscono da soli. Intrappolati da convenzioni, convenienze, normalità, uniformità, apparenze.
Potrebbero uscire in qualsiasi momento. Non lo faranno mai. Perché questi sono i pesci che non vogliono volare.
*Illustrazione di Comiale
*Fotografia di Paola Tornambè
La lampuga è un’inquieta girovaga: predilige il mare aperto, ma a fine estate fa sempre capolino sulle coste siciliane. Ama stare giusto sotto il pelo dell’acqua: è da qui che tiene sott’occhio tutta la profondità del mare e al tempo stesso è pronta a balzar fuori e provare il brivido del volo.
I luoghi su cui ha volato li trovate qui: animadeiluoghi.blogspot.com.
PODCAST > L’articolo “Ci sono pesci” letto da Comiale [Spigola].