Made in Japan, solitudine ai tempi dei social
Mi ha colpito molto la notizia che ho letto poco tempo fa a proposito dei giapponesi. E in particolare sugli anziani. Sembrerebbe infatti che per molti giapponesi il carcere sia la soluzione migliore per sconfiggere la solitudine e questo porterebbe loro a mettere in atto anche piccoli crimini pur di farsi arrestare e avere così un posto dove vivere.
La notizia mi ha sorpreso molto lasciandomi un gran senso di inquietudine e anche di incredulità. Mi sembrava una notizia dalla portata umana così enorme da dubitarne della veridicità, e poco riuscivo a conciliarla con il fascino che la cultura giapponese aveva suscitato in me da quando, piccolina, mio zio mi portava doni colorati dai suoi viaggi nella terra del Sol Levante, assieme a storie orientali di vite leggendarie.
Ai miei occhi si tratta infatti di una cultura quantomai discreta e semplice, lineare nel decoro e ricercata nei rapporti, dove il senso di rispetto e di attenzione verso il prossimo sono parte integrante della vita di ogni persona.
Ma come è possibile allora che in Giappone dopo i 65 anni la vita risulti così difficile da preferire il carcere? È come se venisse meno il coraggio di viverla da persone che interagiscono nel mondo, e ci si volesse invece nascondere e isolare.
E purtroppo i giovani non sembrano stare meglio. Sembra infatti dilagante il fenomeno degli hikikomori, ovvero una sorta di disagio relazionale che si concretizza in un’ostinata auto-reclusione che si sviluppa nell’adolescenza e che in alcuni casi può durare anche diversi anni. Le cause sembrerebbero molteplici, tuttavia gli esperti sembrano concordare che alla base ci possa essere un disagio psichico di tipo sociale, alimentato dalla paura del confronto con l’altro che diventa insostenibile.
Ma come è possibile che si sia arrivati a tutto questo? Come non è stato possibile accorgersi di questi malesseri sociali prima di arrivare a queste derive? E come è possibile ora arginare questo tipo di fenomeni? Forse li sentiamo così lontani da noi da non renderci neppure conto che invece esistono e sono reali.
Sono domande a cui mi è difficile trovare delle risposte. Posso però raccontare quello che ho osservato di persona di questa straordinaria cultura, dalle numerose e spesso contraddittorie sfaccettature.
Il Giappone è la patria delle trovate più geniali, ognuna delle quali mira sempre al rispetto dell’altro. Come la mascherina che i giapponesi indossano per proteggersi dalle malattie, ma soprattutto per non trasmetterle, o il tovagliolo per hamburger, dove vi è un sorriso stampato sul fazzoletto che, essendo più grande del panino, nasconde le dinamiche della masticazione. Il Giappone è il posto dove puoi regolare il tuo orologio con l’arrivo del treno e dove puoi davvero assaporare il viaggio e rilassarti leggendo un libro perché la gente è rispettosa e parla sottovoce.
Devo anche aggiungere che ovunque io vada in viaggio, non perdo mai l’occasione per visitare mercati e supermercati per cercare di catturare un po’ di quotidianità. Rito che ho puntualmente ripetuto in ognuna delle città giapponesi visitate.
A proposito del Giappone, visitando un reparto ortofrutticolo sembra di entrare in una vera boutique, non solo per i prezzi (infatti i prodotti non sono venduti con il prezzo al chilo, ma a pezzo) ma per la cura del dettaglio e il decoro: ogni frutta e ogni verdura sono infatti bellissime, impacchettate mirabilmente, e incredibilmente perfette e gustose.
Ed è così che le mele si trovano confezionate singolarmente in stupendi astucci di ovatta bianca e raramente si trovano a sfiorare le proprie vicine. Sono splendide, quasi luccicano, tanto sono state curate, e sono impreziosite da magnifici nastrini colorati e si trovano l’una ben distanziata dall’altra.
Forse iniziamo anche noi ad essere come quelle splendide mele? Sempre più curati, sempre più artefatti da essere destinati a perdere il contatto con l’altro?
Ma quando la solitudine social sembra prendere il sopravvento, sembra proprio l’apertura all’altro in cerca di tracce di umanità l’unica vera ancora di salvezza.
Ed è così che il cortesissimo cassiere del negozio di frutta ci presenta il conto. Alza lo sguardo e scruta con attenzione il volto di mio marito, alto almeno il doppio. E con sorprendente genuinità, il giovane cassiere chiede a mio marito in giapponese se può toccargli la barba, e allunga le sue piccole mani verso l’alto.
Non capiamo subito le intenzioni del giovane, ma le sue mani continuano a protendersi verso l’alto, incuranti di attendere prima un’approvazione. E mio marito, sorpreso, d’istinto inchina il capo. Il volto del cassiere si illumina, accarezza la barba e sorride di gioia.
*Copertina di Federica [Pesce Giallo Chirurgo]
*Fotografia di Alexandre Chambon on Unsplash
Il Pesce Giallo Chirurgo esplora i fondali della barriera corallina, si spinge al largo incuriosito dal riverbero del sole, usa la variopinta fantasia che narra di mondi possibili per dare valore al reale, per riuscire a riscoprirlo e con esso tutta la sua intrinseca bellezza.
PODCAST > L’articolo “Made in Japan, solitudine ai tempi dei social” letto da Alice [Acciuga]
Prossima pubblicazione: giovedì 11 ottobre, rubrica “I versi del pesce”.
I versi del pesce. È il regno della poesia, dove si dice tanto scrivendo poco. Dove le parole diventano versi, strofe, musica, emozione. E i pesci si concedono qualche licenza poetica.