Tuffo verso il cielo
Caro Pesce Lettore,
sono felice di incontrarti su questa pagina. È proprio pensando a te – e alla tua meravigliosa unicità – che ho scritto il breve racconto che leggerai tra poco. Passa una buona domenica, con il sole o con la pioggia, da solo o in compagnia. E se stasera riesci, che il cielo sia limpido o nuvoloso, butta lo sguardo insieme a me verso le stelle. Se non le vedi, immaginale senza timore.
Con affetto,
Pesce Pagliaccio Paola
Ero un pesce come tutti gli altri. Allo stesso tempo capivo che “tutti gli altri”, che mi sfrecciavano attorno, erano tanti “ciascuno”: con la propria conquistata storia, le proprie vibranti passioni, i propri intimi dolori, le proprie insondabili gioie. Ma tutti, proprio tutti, accomunati da un’unica profonda inquietudine…
di felicità!
Un giorno mi misi ad osservare il nostro “bolleggiare” dalle branchie. Vedevo rischiararsi l’acqua che ci circondava, ci vedevamo meglio, sì, ma non solo. Il nostro transito sembrava rendere luminose le correnti d’acqua che attraversavamo – i più vanitosi, con i loro colori, le rendevano anche più belle – eppure… eppure qualcosa ci mancava. E a me sembrava essere la stessa cosa.
Mi tornò alla mente allora quel passo di Leopardi nello Zibaldone: “Dov’è più vita quivi maggior desiderio e bisogno di felicità quivi è maggior senso di privazione e di mancanza e di vuoto”. C’era tanta vita e vitalità in noi, ma soprattutto un tale bisogno di felicità da crearne nel cuore una voragine… “un’arsura che è ardore” direi con D’Avenia, ma qui siamo in acqua e quindi… né aridità, né incendi.
C’era qualcosa che ci attraeva. L’acqua era il nostro luogo, ci teneva a galla, ci dava la vita, eppure eravamo irresistibilmente attratti da quel manto di cielo sopra di noi.
Me ne accorsi la prima volta quando, ammagliato dal sorriso con cui i delfini rientravano in acqua dopo una delle loro capovolte, decisi anch’io di improvvisarmi tuffatore notturno. Con audacia e un po’ di sana inconsapevolezza giovanile lasciai che fosse il mio cuore a spingere le mie pinne fuori dall’acqua, in un tuffo verso il cielo stellato. Fu un attimo, una vertigine… quella di Jovanotti…“non paura di cadere, ma voglia di volare!”.
Volare. Io?! Un pesce? Eppure nulla aveva mai reso il mio cuore così felice come quell’attimo di cielo. Nessuna esperienza o cosa o relazione in mare. Nessun altro tipo di benessere. Nulla mi aveva mai dato allo stesso tempo pienezza e nostalgia. Capivo che quel cielo racchiudeva qualcosa di me. Quel suo essere infinito e, in un certo senso, eterno mi attraeva a sé, come se le stelle fossero l’amo a cui si fosse agganciato il mio cuore.
Un’inaspettata e commovente consonanza… ad maiora natus sum.
Amo l’acqua in cui vivo, amo i pesci con cui e per cui vivo. Ma forse vivo grazie a quel pezzo di cielo? Quel pezzo di cielo che scopro adesso essere già nel mio cuore e muovere (da tempo?!) le mie pinne.
*Illustrazione di Comiale.

Pesce Pagliaccio ama appassionatamente la vita e, correndo il rischio di apparire ingenuo, si veste di sorrisi colorati per riaccendere gli sguardi dei volti che incontra e ridonare a ciascuno il “coraggio di essere umani”.
Prossima pubblicazione: mercoledì 21 marzo, rubrica “Arte in viaggio”, firmata da Pesce Giallo Chirurgo Federica.
Arte in viaggio è una lente puntata sulle piccole grandi meraviglie del mondo. Curiosità, luoghi, miti, vizi e sfizi vicini e lontani. Con un occhio di riguardo per l’arte.