Dalla Aaah alla Zzzeta
La sveglia dovrebbe suonare alle 8. Ma alle 5, forse un altro tipo di sveglia, apre gli occhi, anche i miei. È l’inizio di una giornata quasi estiva, con il sole ancora timido velato dietro a qualche nuvola. Gli uccelli già parlano da un po’, dopo la notte la loro voce si è già schiarita.
Provo ad arrotolarmi di nuovo in un qualche sogno, provo a diventare ancora il ripieno di una coperta formato involtino, provo a costringermi al sonno perché penso di averne bisogno, non ho dormito neanche cinque ore. Ma il mio sforzo è inutile: benché io continui a pensare che il mio corpo abbia bisogno di dormire, lui si ostina a dire che ha bisogno di svegliarsi. Chi deve ascoltare chi? Chicchirichì? Chi lo sa? Chissà.
Ebbene mi alzo, ritrovo la verticalità e sono effettivamente leggera. Bene. E adesso? Ho in regalo qualche ora in più, oggi. Ho un vantaggio sulla linea di partenza e devo decidere se iniziare a correre come una matta, a mettermi in gara per vincere qualcosa che non so, se iniziare a correre da leone o gazzella, o… o… o…
Ooooh.
Questa seconda possibilità, proprio questa mi attrae. Quando mi capita di godere di un momento di contemplazione? Rinfrescata dal sonno e con la pace trasmessa dai sogni lieti della mia famiglia che, lei sì, è ancora il tenero ripieno della coperta involtino?
Arrivo in salotto e spalanco le finestre, ma non mi accontento. Prendo la sedia e la piazzo sul confine tra la sala e il balcone. Perché non direttamente in balcone? O semplicemente in sala? L’azione non ha una logica, ma quella è la posizione scelta con convinzione, come se stare su quel limite tra il dentro e il fuori sia una necessità ineluttabile. Quindi succede che ho la testa in casa e i piedi nudi al sole. Chiudo gli occhi, li riapro e li richiudo. Apro gli occhi, li chiudo e li riapro. Qualche auto, gli uccelli, e il silenzio. Gli uccelli, il silenzio, e qualche auto. In una combinazione continua.
Ah. Silenzio. Aaah. Silenzio. Aaaaaah. Silenzio. Silenzzzzz… Zzzzzz. Zzz???!
Mi giro di scatto, già prossima all’infarto. Perché conosco quella zeta e già la temo. Da quando all’età di circa nove anni vidi in televisione un film dove un bambino veniva assalito da uno sciame d’api, quella zeta mi fa gelare il sangue. E non lo dico tanto per dire: la sensazione è esattamente di gelo nel sangue, come se il caldo fluido che mi vivifica in quel momento mi volesse ibernare.
Zzz.
La zeta si avvicina, passa accanto alla mia sedia e non si ferma al confine: entra in casa. Non aveva logica la posizione della sedia sul confine tra la sala e il balcone? Bene, da adesso la parola logica si frantuma totalmente: l…g…a…i…o…c. La guardo aggirarsi per la stanza (la zeta, non la logica) e rimango in un primo momento nella mia paralisi. Ma zeta si fa sempre più prossima alla porta che dalla sala conduce nelle camere. Aiuto, non posso stare ferma a guardare una zeta così: va all’attacco della mia famiglia!
Primo tentativo: prendo dei fogli di carta e li agito nell’aria, creando una specie di tornado domestico nella speranza che la zeta ci finisca dentro e trovi la strada della finestra. Ma in tutto questo non chiudo la porta delle camere: logica, dove sei finita??? Chiudo finalmente quella porta, con un balzo felino, avvicinandomi a zeta parecchio, con un coraggio mai visto, da intrepida: mi sento già un’eroina. Comincio di nuovo l’operazione “tornado”, e ci manca poco che io mi metta a cantare con tutta la tribù, aiabù aiabù. Di questo passo faccio volare l’intero palazzo.
Ma perché devo temere quella creatura all’età di 35 anni? Ma perché quella creatura ha interrotto la mia contemplazione? Ed ecco che si affaccia un nuovo pensiero: ma vuoi dire che mi sono svegliata alle 5 proprio perché devo contemplare quella zeta? Lascio cadere i fogli di carta e mi siedo sul divano. Guardo zeta intensamente e penso: cara zeta, tu sei me e io sono te. Vediamo adesso che ci succede.
Zeta, senza bisogno del mio tornado, si avvicina alla finestra. La finestra è spalancata ma zeta si ferma sul vetro interno. Zzz. Continua a picchiettare sulla superficie del vetro. La scambia per aria? Scambia il dentro per il fuori? È ingannata da quel limite trasparente, da quell’illusione di luce? Eppure vuole uscire e non capisce perché sia costretta a sbattere continuamente la testa su quella illusione, non capisce che è un’illusione. Sbatte. Percorre tutta la superficie della finestra in questo modo, si ferma ogni tanto a recuperare le forze, ma poco. Zzz. Tu sei me e io sono te. Zzz. Tutta la superficie. Testarda? Tenace. Benché continui a rimbalzare su quella illusione non si scoraggia: sa che una via di uscita, vera, c’è. Tutta la superficie a sbattere la testa finché, sfinita, cade al suolo. Zzz. Zzz. Zzz. Cosa fai, zeta? Tu sei me e io sono te, sono con te, sei con me: alzati. Zzz. Rimane al suolo, rimane al suono zzz e farfuglia. E mentre è lì, mezza tramortita, senza logica, al confine tra il dentro e il fuori, al limite, ha un’intuizione: vede la luce. Aaah. Il fascio di luce sul pavimento è diverso da quello della superficie precedente, si accorge che la luce di prima era come filtrata. Attende ancora un attimo. Poi, come a piccoli passi, piccoli pazzi passi, passa… sotto la finestra, sotto il vetro, sotto l’illusione. Una boccata d’aria e infine il volo, nel cielo. Nell’illusione non poteva volare. E adesso è così veloce che non la vedo neanche allontanarsi.
Vuoi dirmi che mi ha svegliata alle 5 del mattino una pulce nell’orecchio per annunciarmi l’arrivo di una zeta e invitarmi a una contemplazione senza paura? Chi deve ascoltare chi? Chicchirichì? Chi lo sa? Chissà.
In ogni caso, che tu sia leone o gazzella, sappi che, come me, sei anche un po’… zzz.
*illustrazione di Comiale [Spigola]

Spigola è animata da curiosità. Rianimata da quello che trova in acque limpide, in profondità, a caccia di preda-pensieri. Un artista le ha detto: “Hai provato a scavare in alto?”. Spigola ha visto la luce.
Prossima pubblicazione: giovedì 7 giugno, rubrica “Sogni in valigia”, firmata da Salmone Erika.
Un’anima e una valigia. La valigia che si fa e si disfa, che si riempie e si svuota. L’anima che annota, nel pieno e nel vuoto. Dal Giappone al Brasile, senza dimenticare lo spazzolino.
PODCAST > L’articolo “Dalla Aaah alla Zzzeta” letto dall’autrice Comiale [Spigola].