L’unica bandiera che ha senso
L’Italia non esiste
I confini non esistono, non sono reali. Un astronauta, buttando uno sguardo da un oblò della ISS e guardando la Terra, non riuscirebbe a vederne neanche uno. Se al posto dell’astronauta ci fosse un alieno, non potrebbe carpire l’esistenza delle varie nazioni. E forse non riuscirebbe nemmeno a capirla.
Così come ben spiegato da Yuval Harari nel libro “Sapiens”, le nazioni, ma anche le società di capitali, o il denaro, per citarne solo alcune, sono realtà fittizie, che nascono per convenzione sociale. Non esistono davvero, se non nella nostra mente.
L’Italia, quindi, non esiste. Non esistono nemmeno la Francia, l’Impero Austro-Ungarico o il Granducato di Toscana, se non per accettazione sociale.
Attenzione, dico fin da subito che, con questo post, non voglio negare l’utilità delle nazioni. Sono organizzazioni di persone, che hanno permesso e permettono la collaborazione tra milioni di individui che nemmeno si conoscono. In questo senso, le nazioni sono state e continuano ad essere strumentali, nel percorso evolutivo dell’homo sapiens.
Ma arriverà il momento in cui l’utilità delle nazioni verrà meno. Non saprei dire se tra 20, 200 o 2000 anni, ma senza dubbio l’utilità locale delle nazioni verrà sottoposta ad un bisogno più alto, ovvero l’utilità globale, quella del Pianeta Terra. Succederà, sia perché POTREMO farlo succedere, ma soprattutto perché DOVREMO farlo succedere.
La VERA globalizzazione: Potremo farlo succedere
Siamo sempre più vicini. Lo siamo sia virtualmente, attraverso internet ed i social media, sia fisicamente. Viaggiare è sempre più veloce e sempre più cheap. Il Regno d’Italia “nacque” nel 1861, in seguito alla guerra risorgimentale (seconda guerra d’indipendenza), combattuta dal Regno di Sardegna per conseguire l’unificazione nazionale. Nel 1861, le strade ferrate in Italia si estendevano per un totale di 2.400 km. Oggi facciamo colazione a Milano, pranziamo a Londra e ceniamo a Parigi. Almeno, io una volta l’ho fatto. Il risultato fu una gastrite, ma anche un bel senso di pienezza e libertà.
Siamo connessi ed interconnessi, anche le nostre economie lo sono. Una crisi politica in Grecia ha effetto sui mercati giapponesi, oltre che sullo spread dei BTP decennali rispetto al Bund tedesco. Le grandi città sono sempre più multi-culturali. Nel Regno Unito ci sono circa 700.000 italiani, di cui più di 300.000 nella sola Londra, la quinta “città italiana” dopo Roma, Milano, Napoli e Torino.
Solo 70 anni fa tutto ciò sarebbe sembrato impossibile. Siamo stati bravissimi ad arrivare fino a qua, dobbiamo evitare di considerare questo risultato scontato, non dimenticando la penuria e la mancanza di libertà a cui anche il ceto medio era soggetto. Il “si stava meglio quando si stava peggio” è, a mio avviso, una delle più grandi fesserie. Prima c’erano i muri ed i muri son brutti, da vedere e soprattutto da vivere. Insomma, continuiamo il percorso evolutivo, che non può che essere inclusivo.
La VERA globalizzazione: Dovremo farlo succedere
Il concetto è semplicissimo, spiegato ancora una volta molto bene da Yuval Harari, ma questa volta nel libro “21 Lessons for the 21st Century”.
L’umanità si trova di fronte a tre grandi problemi: il cambiamento climatico, l’ascesa esponenziale dell’innovazione tecnologica (in particolare dell’intelligenza artificiale e delle biotecnologie) ed il pericolo nucleare.
Questi tre problemi hanno un comune denominatore: sono problemi globali. Non possono essere affrontati localmente. È possibile rendere locale il problema del cambiamento climatico? No. Gli altri due? Neppure. Quindi, l’unica cosa che possiamo fare è quella di globalizzare la politica.
Avremo mai un governo globale? Chiamatemi matto, o visionario, o visionario matto, ma io credo di sì. Non credo che però sia un obiettivo raggiungibile nei prossimi 82 anni. Come possiamo quindi iniziare a pensare a soluzioni globalmente coordinate? Solo evolvendo culturalmente, cambiando l’atteggiamento di fondo.
La mia proposta “un filo ambiziosa”
Agli umani piacciono le bandiere. È una questione di senso di appartenenza. Ci piace la bandiera della nostra contrada, della squadra del cuore, della nostra regione (!), della nostra nazione e a molti (ma non a tutti) quella del nostro continente. Ci rassicura pensare di far parte di una comunità, piccola o grande che sia. Ci ho pensato tanto e ne ho concluso che tutto ciò è veramente stupido. Dietro ad ogni bandiera, infatti, c’è sempre una realtà fittizia (vedi sopra). La bandiera, come i confini, serve a rendere reale ciò che non lo è.
Detto questo, non intendo fare la guerra contro i mulini a vento chiedendo l’abolizione di confini e bandiere. Non ne ho tempo. Voglio approcciare il problema in via inclusiva e non esclusiva. Vi piacciono le bandiere? Tenetevele. Anzi, issatene un’altra!
Giorni fa mi son messo in testa di inventarmi una bandiera del Pianeta Terra. Poi ho googlato e ho notato che qualcuno ci aveva già pensato (http://www.flagofplanetearth.com/). Chapeau! Mi piace.
Il “creatore” ne propone l’utilizzo soprattutto in missioni spaziali, ma sottolinea come possa servire a ricordare alle persone che condividiamo questo Pianeta al di là dei confini nazionali. Che dovremo prenderci cura l’uno dell’altro così come del Pianeta stesso. Bravo Oskar Pernefeldt!
Ecco la mia proposta e/o considerazione e/o speranza: inizieremo a diventare una specie degna della sicumera nella quale ci crogioliamo, solamente quando di fianco alla bandiera della nostra nazione isseremo quella del Pianeta Terra.
Siamo una specie, su un Pianeta. Non dimentichiamolo.
*Fotografia in copertina tratta da: http://www.flagofplanetearth.com

Ilone Pesce Pallone, gonfiato. Guarda così avanti che sembra indietro. Così fuori che sembra dentro. In due o tre lo capiscono, ma poco.
PODCAST > L’articolo “L’unica bandiera che ha senso”, di Ilone [Pesce Pallone], letto da Comiale [Spigola].