È solo l’inizio
È tutto pronto al Kennedy Space Center, Cape Canaveral, Florida. Dopo un rinvio di circa due ore, dovuto al vento eccessivo, viene dato l’ultimo ok. Parte il conto alla rovescia. Sulla rampa di lancio, la stessa della Nasa verso la Luna, si staglia il Falcon Heavy: dotato di 3 razzi e 27 motori, 9 per razzo. Attualmente è il veicolo spaziale con maggior spinta propulsiva al mondo.
“T minus ten seconds… nine… eight… seven…”, la nuvola di fumo si alza intorno al razzo, “…Three, two, one… Lift-off!”
In pochi secondi il Falcon Heavy raggiunge (e supera di slancio) la velocità del suono, mille e duecentotrentacinque chilometri all’ora. L’ascesa verso lo Spazio sembra procedere senza problemi, e non è mai cosa banale. Basterebbe una minima imperfezione tecnica per fare esplodere, e disintegrare, il razzo della SpaceX. Ed invece, il Falcon Heavy continua il suo viaggio verso lo Spazio.
Passano circa due minuti e trentacinque secondi dal lancio: i due razzi laterali si separano. Passano altri quaranta secondi: è la volta del razzo centrale.
La navicella è ora nello Spazio, finalmente libera dall’attrito atmosferico. Direzione: Marte.
Si apre dopo pochi secondi ed ecco la rivelazione: una Tesla Roadster rossa con al volante Starman, un manichino che indossa la nuova tuta spaziale SpaceX. La radio della Tesla suona “Life on Mars?” di David Bowie. Brividi.
Come in un film di fantascienza, poco dopo i due razzi laterali, i primi ad essersi separati, atterrano contemporaneamente sulla Terra, a poche centinaia di metri l’uno dall’altro, perfettamente al centro delle designate piattaforme. Prima della SpaceX, nessuno aveva mai provato a fare nulla di lontanamente simile, nemmeno la Nasa. Le immagini non sembrano reali. Ri-brividi.
Se io avessi creato, DA ZERO, sia l’azienda SpaceX che l’azienda Tesla, probabilmente considererei quanto successo il 6 febbraio 2018 in Florida un perfetto, incredibile, punto di arrivo. Penserei: “Ok, ho lanciato nello Spazio la mia macchina sportiva elettrica (prima automobile nello Spazio), tra l’altro prodotta dall’azienda da me co-fondata e l’ho fatto con il razzo più potente al mondo, che è di mia proprietà. Posso ritenermi soddisfatto, ora mi darò al giardinaggio”.
Non Elon Reeve Musk. Per lui è solo un punto di partenza.
Facciamo ora un salto indietro di circa trentacinque anni. 1983, Pretoria, Sud Africa. Tre bulletti ce l’hanno con un ragazzino, un tipetto strambo.
Molto chiuso, non ha amici. Passa ogni ora del giorno con un libro in mano. Tanto che, prima a casa e poi nella vicina biblioteca, finisce per leggere tutti i libri disponibili – ed inizia quindi a memorizzare l’Enciclopedia Britannica. Diventa il classico “so-tutto-io”, quello che non risulta particolarmente simpatico agli altri bambini. Inoltre, non ha comportamenti “nella norma”, è spesso – come dire? – assente. Ci sono momenti in cui si estranea del tutto: da tutto e tutti. Immagina cose, spesso mondi, lontani. Parlargli, chiamarlo, non portano a nulla, semplicemente non ascolta. I genitori arrivano a pensare che abbia problemi di udito. Questi comportamenti, invece, hanno una doppia origine. La prima causa si cela nella sua capacità di raffigurare mentalmente immagini complesse, in modo iper-dettagliato e di focalizzarsi su ciascuno di questi dettagli. La seconda, forse, è più emotiva e ha a che fare con i problemi a casa e con la separazione dei genitori. Lui ha deciso di rimanere con il padre, visto che sia il fratello che la sorella, entrambi più piccoli, stanno con la madre. Ma con il padre, un ingegnere, il ragazzino ha un pessimo rapporto.
I bulletti lo sfottono, lo strattonano, lo spingono. Il ragazzino ruzzola malamente per una rampa di scale. Ai bulletti non basta. Calci e pugni mentre è per terra. Perde i sensi. Solo.
Quel bambino, che passerà una settimana in ospedale prima di tornare a scuola, è Elon Musk.
Nonostante tutto e tutti, Elon cresce. Crea un videogioco, “Blastar”, e lo vende per 500 dollari. Il videogame, molto nerd, sostanzialmente tratta di navicelle alla conquista dello Spazio. I sogni nascono da bambini.
A diciassette anni, stanco del padre e del Sud Africa, parte per il Canada e si iscrive alla Queen’s University di Kingston. Da lì a poco si trasferirà in Pennsylvania, negli Stati Uniti.
Finiti i primi studi, Elon si iscrive ad ingegneria all’Università di Stanford. Ma è il 1995, internet sta cambiando il mondo e lui vuole fare parte della trasformazione. Lascia l’università ed insieme al fratello Kimbal fonda Zip2, un sistema di ricerca simile a quello che oggi è googlemaps.
I fratelli Musk non hanno soldi per permettersi anche l’affitto di un appartamento e quindi dormono in ufficio, lavandosi (non spessissimo) presso il vicino YMCA. Dopo quattro anni di duro lavoro, venderanno Zip2 a Compaq per una valutazione complessiva di 307 milioni di dollari. Elon incasserà 22 milioni (16 milioni al netto delle tasse) ed il fratello Kimbal 15.
Soddisfatto? Macché.
Elon “decide” che internet cambierà anche il modo di fare banca e, con 12 milioni, fonda la startup ‘X.com’, per i pagamenti online. Dopo una fusione con un diretto competitor (Confinity), X.com diventerà PayPal. Paypal viene venduta da lì a poco per 1,5 miliardi di dollari. Elon incasserà dalla vendita 180 milioni di dollari, al netto delle tasse.
Sì, io con 180 milioni di dollari mi sarei comprato un’isola privata e avrei passato il resto dei miei giorni nel comfort più estremo. Ed invece, quei 180 milioni… Elon li investe.
Tutti.
E non li investe in buoni del tesoro al 5%. Sceglie tre business tra i più rischiosi del Pianeta: i viaggi nello Spazio, le auto elettriche e l’energia solare. Elon utilizza 100 milioni per fondare SpaceX, 70 milioni li investe in Tesla Motors e 10 milioni li mette in Solar City. Narra la leggenda che, per pagare l’affitto, chieda soldi agli amici.
Il rischio di perdere tutti quei 180 milioni in poco tempo è altissimo. E, complice la crisi economica del 2008, ci va davvero vicino. La domanda a questo punto è: perché prendersi così tanti rischi? La risposta sono i due profondi obiettivi di Elon: accelerare la transizione verso la produzione ed il consumo sostenibile di energia e fare dell’Homo Sapiens una specie multiplanetaria.
Entrambi gli obiettivi derivano da considerazioni elementari e sensate. Per quanto riguarda la prima, Elon si chiede che senso abbia continuare a consumare combustibili fossili, quando questo comporta il deterioramento dell’ecosistema, e sapendo che, comunque, prima o poi finiranno. La seconda è ancora più visionaria: la nostra specie deve evitare di avere “tutte le uova in un solo paniere”, per scongiurare che un cataclisma ne implichi l’estinzione. Prima o poi il cataclisma ci sarà, meglio mettersi subito al lavoro.
Elon si è decisamente messo al lavoro.
Alle quotazioni correnti, quei 180 milioni di dollari investiti tra il 2002 ed il 2006, oggi valgono più di 20 MILA milioni di dollari. In poco più di dieci anni, si sono moltiplicati per 115 volte.
Un punto di arrivo? Macché, è solo l’inizio.
*Illustrazione di Comiale.

Ilone Pesce Pallone, gonfiato. Guarda così avanti che sembra indietro. Così fuori che sembra dentro. In due o tre lo capiscono, ma poco.