Silenzio! (Di febbre e di neve)
Pareva proprio il momento perfetto: la miagolante girovaga placata dai croccantini, la piccola umana a scuola di umanitudine, la luce giusta, le cuffie. Già da qualche giorno rigiravo l’idea tra le dita, come d’abitudine faccio con le ciocche (per darmi calma, per darmi sicurezza). Tutto pronto, basta sedersi lì, e travasarla dalle dita alle lettere. Poi, però.
Sono successe due cose. L’influenza ha sfondato la porta di casa. Quindi ha cominciato a nevicare. E così l’idea ha smesso di svolazzare tra le ciocche, in attesa di riposare in parole: è diventata realtà.
[Lettore]: Cosa leggi allora?
[Irnerio]: Niente. Mi sono abituato così bene a non leggere che non leggo neanche quello che mi capita sotto gli occhi per caso. Non è facile: ci insegnano a leggere da bambini e per tutta la vita si resta schiavi di tutta la roba scritta che ci buttano sotto gli occhi. Forse ho fatto un certo sforzo anch’io, i primi tempi, per imparare a non leggere, ma adesso mi viene proprio naturale. Il segreto è di non rifiutarsi di guardare le parole scritte, anzi, bisogna guardarle intensamente fino a che scompaiono.
[I. Calvino, Se una notte d’inverno un viaggiatore, 1979]
Tante grazie, riflettevo leggendo queste righe dell’iper romanzo di Calvino. Grazie tante, capirai che sforzo, smettere di leggere nel 1979. Voglio dire: anche tenendo presente l’allora incalzante proliferare di parole (gridate, celate, camuffate, suadenti, perentorie, mettiamole pure tutte assieme), di certo né tu, Italo, né Irnerio avreste potuto immaginare… E nemmeno il buon Marcovaldo (quel Marcovaldo infastidito dallo sfolgorare intermittente della scritta GNAC davanti alla finestra, quel Marcovaldo i cui figli andavano a legna nel fitto bosco di cartelloni pubblicitari ai margini dell’autostrada)! Non avreste potuto immaginare che “tutta la roba scritta”, oggi, non ce la buttano sotto gli occhi. Ce la buttiamo noi. E davanti alla faccia, dentro casa, inconsistente muro di luce che mima l’effetto naturale della luce e del tutto, fedele riproduzione del nostro essere proiettati fuori, per tornare dentro in una baraonda di altre proiezioni.
A cosa stai pensando? Chiede la cosa ogni momento di ogni ora di ogni giorno. Ed eccoci: presenti, vigili, allegri, motivati, o pessimisti, o sfiduciati, innamorati, delusi, arrabbiati, generosi, maleducati. Eccoci in una giostra di parole e di immagini. In una giostra che sferraglia ogni momento di ogni minuto di ogni ora del giorno, con la vanesia illusione di averne il controllo. Mentre non siamo che noi a buttarci tutto sotto gli occhi.
E allora, dicevo, ecco che l’idea è diventata realtà: come Irnerio – complice la duplice immobilità dettata dall’influenza e dalla neve – ho accettato, per un’ora, di lasciarmi buttare tutto sotto gli occhi. Di leggere tutto, su quello schermo, fino a quando a osservarle così da vicino, con tanta attenzione, con tanto sforzo da farsi bruciare gli occhi (la febbre saliva?) le parole non hanno perso consistenza. Sono sparite tutte.
Sono spariti i proclami e i controproclami, sono sparite le news e le fake news, spariti pietismi, buonismi, benaltrismi, sparite le freddure e i raffreddori, sparite le lagnanze e i trionfi, spariti i clicca qui, compra adesso, guarda subito, vinci, partecipa, condividi, fai sapere. Sparito tutto, sparito anche lui: a cosa stai pensando?
E in questo vuoto attutito dal piumone e dai fiocchi di neve è rimasto solo un rumore antico, il rumore del pensiero. (Come mi sembrava già troppo, certe sere prima di tutto questo, il rumore dei pensieri! Che rumore fanno i pensieri! Quel chiasso e quel vociare di prima lo coprivano a malapena!)
Silenzio! Silenzio per scoprire che il silenzio vero non esiste. Che il piano di Irnerio è una pura fantasia, che l’importante è non lasciarsi “buttare addosso”, ma scegliere. Misurare cautamente i passi dell’occhio, un giro di giostra alla volta – se proprio si vuol salire. Il silenzio non esiste.
Alla fine aveva dovuto ammetterlo anche John Cage, quando una trentina di anni prima di Calvino, alla ricerca del silenzio assoluto aveva visitato una camera anecoica per scoprire che anche lì lo avevano seguito alcuni remote onde provenienti dal suo cuore e dai suoi pensieri.
Pochi mesi dopo, John Cage avrebbe presentato a un’orchestra la partitura di 4’ 33’’, una composizione fatta solo di silenzio. Anzi no. Quattro minuti e trentatré secondi di silenzio degli strumenti per cogliere i suoni altrimenti coperti: un colpo di tosse, lo scricchiolio di una poltroncina in sala, i buffi versetti di un bambino. Troppo era già stato detto in musica (tutto?): occorreva una pagina bianca.
A nutrire gli esperimenti con il suono di John Cage erano state anche le sperimentazioni artistiche di un amico, Robert Rauschenberg e in particolare la sua serie dei “White paintings”, concepiti per diventare “aeroporti di luce, ombre e particolari”.
Silenzio che si fa come una tela candida, uno spartito vuoto, un foglio bianco, sui quali registrare minime variazioni di luce, di suono, di parola.
Ma…ma! Che allora non sia anche quello schermo, quella cosa che un giorno è stata vuota e ora è piena di confusione, una forma di post-silenzio? Dove tutto si riversa e si rispecchia e si registrano le più minute e le più grandi variazioni di suono, di luce, di parola?
Silenzio. Bi-bip. Febbre.
Come il prato intanto ricoperto di neve, che era bianco fino a poco fa, e già comincia a sporcarsi.
[Ti domando scusa, se anch’io ho portato rumore nella tua giornata. Puoi sempre rifugiarti qui.]Fotografia in copertina: di Letizia Rossi.

Sogliola ha due facce. Una fruga sul fondo, dove l’acqua finisce e ricomincia la terra. All’altra non bastava un occhio solo, per tutto quel cielo di mare. Sogliola è una giornalista con gli occhi spalancati sulla poesia.
PODCAST > L’articolo “Silenzio! (Di febbre e di neve)” letto da Letizia [Sogliola].