Raskolnikov a Milano
Proprio qui, sotto la pensilina della 93, il padre di Sonja ha gridato la sua disperata preghiera. Ho alzato gli occhi e le due file di alberi del viale sembravano giungere le mani: il cielo sacro di una cattedrale barocca. Qui sotto, tutti noi, con le sporte del mercato, zaini e ventiquattr’ore, sacchetti stracciati pieni di stracci. Sbuffare, guardare l’ora, sbuffare di nuovo. Marmeladov, intanto, gridava al cielo verde.
Poco più avanti, all’incrocio tra via Golgi e via Celoria, un mantello nero ha rubato l’anima di Piskarev. Potrei quasi dire di averlo visto correre, il giovane artista, come correva lo studente di architettura dietro al filobus, quel mercoledì, verso le 13.
C’è tutta una inedita geografia di luoghi letterari che a me sola è nota: taverne, vicoli, prospettive, strade, intere città che si muovono e si spostano, e tutto a un tratto sono lì.
Perché una volta dentro ai libri i luoghi diventano un doppio, reale e fittizio allo stesso tempo, dei luoghi che descrivono o li hanno ispirati. E certe volte possono aderire perfettamente ai “dove” reali che abitiamo.
Da qualche tempo, è una cosa che mi accade facilmente.
Per quasi una trentina d’anni ho considerato l’atto di leggere e di scrivere dal punto di vista (si perdoni il pasticcio) della vista. Le parole avevano, più che altro, una forma. Che forma hanno certe frasi: che architetture, che curve e che improvvisi panorami di inchiostro!
E i poeti, con quelle loro geometrie, con quei salti nel vuoto da un verso all’altro, con quelle impalcature essenziali da domandarsi come possano reggere un pensiero (e invece è proprio nella loro essenzialità la forza portante).
Da qualche tempo, dicevo, le parole hanno invece ritrovato il suono (metà del merito è da attribuirsi ai libri per l’infanzia di cui da un giorno all’altro si è riempita la casa). Lo sapevate che ci son parole nate per essere sussurrate? Altre sono da digrignare tra i denti, qualcuna da sgranocchiare, o da accarezzare appena, come un bacio leggero.
E come ci si esercita a leggere per gli altri se non facendosi leggere libri da altri?
L’altra metà del merito va dunque al precario stato del pendolarismo: non c’è mica spazio per squadernare Delitto e castigo sul suburbano delle 8 e 14! Così da quasi un anno c’è un lettore nelle cuffie che mi tiene compagnia a tutte le ore. Ho imparato (meglio: ho ricordato come si fa) ad ascoltare le parole dette.
[Chi ne è incuriosito può provare a frugare su piattaforme come Spreaker o Audible o tra i podcast di “Ad alta voce” su Rai Radio Play]E ho scoperto che nel suono c’è molta altra materia che dei libri altrimenti rischiamo di perderci: carne e ossa, e luoghi che traslocano da laggiù a qui, e ora. La città si è riempita di personaggi vivi, che l’hanno abitata con la stessa familiarità con cui hanno abitato i loro luoghi.
Come il Raskolnikov che poco fa con la testa china e il passo preoccupato si è lasciato inghiottire dalle scale del sottopasso pedonale, proprio qui, alla stazione di Lambrate.
Fotografia in copertina: di Letizia Rossi.

Sogliola ha due facce. Una fruga sul fondo, dove l’acqua finisce e ricomincia la terra. All’altra non bastava un occhio solo, per tutto quel cielo di mare. Sogliola è una giornalista con gli occhi spalancati sulla poesia.
PODCAST > L’articolo “Raskolnikov a Milano” letto da Letizia [Sogliola].