Un cimitero pieno di vita
Certi libri, come certe persone, ci attraggono senza via di scampo. Il colore della copertina, la frase di una recensione, la parola giusta in un titolo… ci richiamano con una voce che ci sembra di conoscere e ci fa alzare gli occhi, distogliendoci dal nostro percorso proprio quando serve.
È quello che mi è successo con “Cambiare l’acqua ai fiori”. E non sono certo la sola, visto che il libro di Valérie Perrin, edizioni e/o, ha venduto oltre un milione e mezzo di copie in meno di due anni. Merito anche di un passaparola che è diventato esponenziale durante i mesi del lockdown.
Proprio in quel periodo di isolamento forzato l’ho incontrato anch’io, e me ne sono innamorata. Perché questo libro tocca con mano delicata tematiche profonde e universali, dalla maternità all’amore, stracciando il tabù della morte attraverso lo sguardo di una protagonista indimenticabile: Violette, custode di un piccolo cimitero della Borgogna.
Donna dal passato dolorosissimo, orfana, sola, schivata dai più per il suo lavoro, abbandonata da un marito che non l’ha mai rispettata, con un lutto tremendo da elaborare, Violette ci appare annientata quando approda per la prima volta nel suo amato cimitero di Brancion-en-Chalon. Ma lentamente, mani nella terra, cura le sue ferite coltivando bellezza intorno a lei: l’orto, i fiori sulle tombe, i gatti, i pini, le storie dei defunti, le confidenze di chi resta, un piccolo sorso di porto, una tappezzeria colorata nell’intimità della camera da letto.
«Il mio presente è un dono del cielo. Me lo dico ogni mattina appena apro gli occhi. Sono stata molto infelice, addirittura annientata, inesistente, svuotata. Sono stata come i miei vicini, ma in peggio. Le mie funzioni vitali continuavano, ma senza me dentro, senza la mia anima, che a quanto pare, a prescindere da che uno sia grasso o magro, alto o basso, giovane o vecchio, pesa ventuno grammi. Ma siccome l’infelicità non mi è mai piaciuta ho deciso che non sarebbe durata. La sfortuna deve pur finire, prima o poi».
Schiena dritta e abito rosso ciclamino ben nascosto sotto l’inverno della vestaglia scura da guardiana di cimitero, Violette ricorda un po’ Renée, la protagonista de “L’eleganza del riccio”. Come lei, nasconde dietro un’apparenza sciatta una grande personalità e una storia piena di misteri.
Violette assapora la vita bevendola a piccoli sorsi, come un tè al gelsomino con un po’ di miele. E intreccia la sua storia ai tanti personaggi che orbitano intorno a lei nelle pagine della Perrin, che alterna passato e presente in una costruzione magistrale, che tiene con il fiato sospeso fino all’ultima pagina di un libro non breve. Menzione d’onore – parola di Acciuga – ai titoli dei capitoli, quasi epitaffi, che fanno intuire il contenuto delle pagine che seguono e regalano preziosi spunti su cui riflettere.
Questo libro, in un presente in cui la morte è prepotentemente protagonista dei notiziari di tutto il mondo, pagina dopo pagina ci aiuta a trovare uno sguardo diverso sulla fine della vita terrena, che non è solo dolore e sofferenza, ma può essere anche ricordo fertile, presenza mite di chi non c’è più, monito al godimento di quanto la vita ci offre, finché ci è concesso.
C’è un meraviglioso film giapponese che a mio parere fa bella coppia con il libro della Perrin: “Departures”, di Yojiro Takita. Qui il protagonista non è un guardiano di cimitero, ma un violoncellista disoccupato che scopre di possedere un talento inusuale: preparare e vestire i defunti per una ditta di pompe funebri. Un rituale complesso e suggestivo, tipico della cultura giapponese, fatto di piccoli gesti di amorevole cura e rispetto che preparano l’anima del defunto a intraprendere un sereno viaggio per l’aldilà e aiutano chi resta a realizzare in modo concreto che quella persona non sarà più fisicamente vicino a noi, nella quotidianità, ma resterà sempre presente spiritualmente. «Quando uno è morto, è morto – commenta Violette –Tranne che nella mente di chi rimane e la mente di un unico uomo è ben più grande dell’universo.»

Lettrice onnivora e compulsiva, Acciuga cade nei libri come un’alice nella tana del bianconiglio. Lì scopre sogni, idee, vite, relazioni, universi. Arco che incocca la piccola acciuga e la lancia verso le nuvole. Da grande vuole fare la libraia.