Lo stilista che vestiva le Dive
“Aveva indosso una di quelle tuniche tenui a minutissime pieghe stampate da un rinnovatore ingegnoso coi motivi marini dell’arte micenea”
[Gabriele D’Annunzio, “Forse che sì forse che no”, descrivendo la protagonista Isabella Inghirami, ispirata all’amata “Divina” Eleonora Duse]
Cari Pesci tra le Nuvole,
ho notato con piacere che avete inaugurato una nuova sezione dedicata alla moda. Mi sono detta: devono assolutamente parlare di Mariano, il più grande rivoluzionario del settore.
Gabriele e io lo abbiamo incontrato nel 1894. Mariano Fortuny, catalano, si era trasferito a Venezia da cinque anni e il guizzo nei suoi occhi lasciava trasparire la sua innata vena artistica. Quando aprì la sua officina veneziana di stampa su seta pose le basi del suo successo: la prima fonte d’ispirazione fu l’arte classica. Knossos è il nome di battesimo che scelse per i suoi primi scialli e veli stampati con motivi decorativi che si rifacevano all’arte cretese, ma quello che lo rese il sarto più amato da noi, dive eccentriche, fu il delphos.
Mariano ama le donne: il corpo femminile doveva essere libero da inutili costrizioni ma allo stesso tempo esaltato dalla linea dell’abito.
Mariano non segue le mode del momento, segue solo la sua intuizione e il suo senso estetico. Un giorno, mentre passeggiavamo per le calli si fermò e mi disse: “Eleonora, le vedi quelle colonne? Mi sono ispirato a loro per la creazione di un nuovo abito”. “Caro – lo canzonai – per quanto io abbia piena fiducia nel tuo potenziale, non mi vedrai mai indossare un cilindro!”
Ebbene, quella nuvola di satin o taffetà di seta finemente plissettata era tutto fuorché una colonna. Complici i colori sfumati e tenui che producevano iridescenze inusuali, la silhouette era evidenziata in ogni sua forma e il delphos si adattava perfettamente a ogni donna tanto che ogni abito era uguale solo a se stesso e irriproducibile.

© Fondazione Musei Civici di Venezia – Museo Fortuny
Gabriele voleva affidare a Mariano l’allestimento scenico della tragedia “Francesca da Rimini”, perché attraverso le sue vesti la memoria potesse recuperare epoche perdute, compiendo una fenomenale resurrezione dell’antico. Sfortunatamente, questa impresa non ha mai visto la luce, ma il tintore alchimista ha disegnato per me i costumi per “Donna del mare”.
Nel 1909 la tecnica del plissé Fortuny è stata brevettata insieme al suo capolavoro couture e ha dato origine a un suo altro celebre indumento: il peplos. Questa casacca, ispirata alle vesti delle Korai, adornata da perline di vetro di murano, è sicuramente la mia preferita: solo per me, satin damascato celeste, blu oltremare e bianco come il candore della neve vergine.
Che dire di più? Spero che vorrete dedicare un articolo a questo artista, che ha saputo volare alto reinventando la moda, trasformando il classicismo greco-romano e liberando le donne da ogni costrizione. Come solo un pesce tra le nuvole sa fare.
Eleonora
N.d.A. Il creatore di moda Roberto Capucci ha esplorato le possibilità del plissé Fortuny nei suoi abiti-scultura e nel 1993 anche lo stilista giapponese Issey Miyake gli rende omaggio con la collezione “Pleats Please”.

*In copertina: abiti-scultura di Capucci, foto di Fiorenzo Nicolli, 1985

Unicorno del mare, leone di cielo, sognatrice infaticabile provvista di un’ancora che la riporta a terra solo quando strettamente necessario. Esploratrice di mondi di carta, tendenze di moda e ricette per rendere felice chi ama.
PODCAST > L’articolo “Lo stilista che vestiva le Dive” letto da Sara [Narvalo].